La reputazione ai tempi del coronavirus

Stiamo vivendo delle settimane “sospese”, in cui ci è stato chiesto di ripensare il nostro modo di vivere e anche di lavorare.

Quello di cui forse non tutte le aziende si stanno rendendo conto è che questa situazione di emergenza rappresenta anche una grande opportunità per consolidare la loro reputazione (ma anche per fare danni difficilmente recuperabili), perché, come scrivevo tempo fa, ogni cosa parla di noi.

Si definisce “employer branding” la strategia che un’organizzazione mette in atto per costruire e consolidare la sua reputazione come datore di lavoro.

Le attività di employer branding possono avere come pubblico di riferimento i dipendenti, per accrescere il cosiddetto employee engagement, cioè il coinvolgimento e la motivazione dei collaboratori; allo stesso modo queste attività possono rivolgersi ad un pubblico esterno.
Spesso si pensa, erroneamente, che le attività di employer branding servano solo ad attrarre nuovi talenti; in realtà per un’azienda è importante consolidare e accrescere la sua reputazione anche nei confronti di altri pubblici, in primis i clienti, ma anche tutti gli altri stakeholder.

Employer branding è anche come le aziende si stanno comportando ai tempi del coronavirus: da Giorgio Armani, che decide di donare 2 milioni di euro a diversi ospedali italiani e convertire tutti i suoi stabilimenti produttivi italiani per la realizzazione di camici monouso destinati agli operatori sanitari impegnati a fronteggiare il virus, a Giovanni Rana, che riconosce un aumento di stipendio del 25% ai dipendenti che si stanno recando al lavoro durante l’emergenza, fino al brand Patagonia, che decide di continuare a pagare gli stipendi ai suoi oltre 2.300 dipendenti, nonostante i suoi negozi siano chiusi.

E la lista, come sapete, è molto più lunga.

Queste aziende hanno capito è che non è il momento di chiedere, di assillare i clienti cercando di vendere loro qualcosa, piuttosto è il momento di dare.  E con la parola “dare” non mi riferisco solo a donazioni in denaro, sicuramente apprezzate, ma anche a “dare” nel senso donare attenzione, prendersi cura, coltivare le relazioni con i propri clienti e con gli altri stakeholder.

Molti clienti probabilmente non potranno comprare i vostri prodotti oggi, o comunque non saranno nello spirito giusto per farlo, ma questa non è una buona ragione per interrompere ogni comunicazione con loro; al contrario dovreste invece chiedervi come poter comunque essere presenti, stare loro vicino in un periodo difficile come questo.

E sapete perché? Volendo riproporre la famosa frase della poetessa Maya Angelou: “Le persone possono dimenticare ciò che hai detto, possono dimenticare ciò che hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire”.

Tante realtà lo stanno già facendo, stanno cioè mostrando vicinanza e attenzione nei confronti dei loro clienti, in alcuni casi addirittura senza esserne pienamente consapevoli, grazie alla presenza online dei propri dipendenti: sui social network in questo periodo troviamo infatti tanto professionisti presenti in maniera costante per condividere contenuti interessanti e utili per i loro stakeholder, ma anche semplicemente per raccontare le loro giornate in smartworking, e recuperare in parte quella vicinanza con i colleghi e quella relazione quotidiana con i clienti che per ovvi motivi si è temporaneamente allentata.

Queste persone stanno agendo anche come Brand Ambassador per le loro aziende, supportandole in termini di visibilità e credibilità.

Vi riporto un paio di esempi di questi giorni che mi sono particolarmente piaciuti, perché vanno proprio in questa direzione:

Il primo è di Sara Manazza, Communication Manager di GS1Italy

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(qui il post originale).

Il secondo è di Graziana Pesce, Head of Communication | Customer Engagement | Trade Marketing | PR & Social at Banca Widiba

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(anche in questo caso, qui trovate il post originale).

Sono sicura che ciascuno di voi abbia bene in mente di cosa sto parlando… Perché anche a voi sarà capitato di imbattervi in queste settimane in tanti contenuti che vanno in questa direzione.

Mi sembra un ottimo modo per continuare la conversazione con gli stakeholder senza essere invadenti, per rassicurarli, far sapere loro di essergli comunque vicino. Tutto questo in maniera autentica, non forzata, e perciò altamente credibile.

In termini di reputazione ed employer branding valgono più questi contenuti di qualunque comunicazione istituzionale.

Come ho già avuto modo di scrivere più volte, infatti, la comunicazione attraverso la voce dei dipendenti è infatti decisamente più credibile rispetto a una pubblicità tradizionale. Si tratta di un principio universalmente valido, ancora più valido, se possibile, in un periodo come questo.

Chissà se le aziende si rendono conto di questo “dono”, e chissà se tutto questo servirà ad abbattere le barriere di diffidenza nei confronti di tutti quei progetti che danno visibilità e voce ai collaboratori, una volta che l’emergenza sarà finita.

C’è da augurarselo.