I Brand Ambassador per il retail
Ogni persona può diventare un Brand Ambassador della propria azienda. I programmi di employee advocacy, quindi, non devono vedere protagonisti solo il reparto marketing o il reparto HR, bensì devono coinvolgere l’intera organizzazione.
Le aziende cosiddette “retail” hanno la possibilità di avere Brand Ambassador che sono quotidianamente a contatto con il pubblico, con tutti i vantaggi che ne conseguono.
È proprio questo l’argomento che ho voluto approfondire nell’intervista con Isabella Gaia, Retail Director Woolrich Europe.
La visibilità e la credibilità delle aziende sta crescendo anche grazie al ruolo dei collaboratori, che spesso sono le figure più credibili e seguite dal mercato. In che modo un’azienda può supportare i dipendenti e coinvolgerli in progetti che portino beneficio ad entrambi?
Sviluppare per un’azienda una cultura di brand significa lavorare non solo sulle leve di comunicazione, ma anche internamente sui dipendenti, per fare diventare l’azienda un luogo in cui si voglia realmente lavorare, per mettere con convinzione “la faccia” sul brand. Ciò significa sviluppare delle connessioni autentiche: quando le persone si sentono coinvolte nella costruzione di progetti, si sentono valorizzate, motivate, sono più inclini ad essere “portatrici” di valori aziendali anche verso l’esterno. Un percorso che deve lavorare anche sulla spontaneità, accettando la “diversity” e le idee a volte contro-corrente, sapendo che “una buona idea è una buona idea, da chiunque provenga”.
Il passo poi è attivare progetti di engagement a cui far seguire progetti specifici, corsi di formazione, policy di uso dei social che aiutino i brand ambassador a stimolarne l’utilizzo supportandoli e aiutandoli a non commettere errori.
Non da ultimo è importante prendere decisioni concrete relative a progetti di avanzamento di carriera.
La “mobilitazione” dei dipendenti non può che portare benefici al business, e i benefici sono reciproci. Volendo sintetizzare:
dare voce all’ umanità dell’azienda diminuisce la distanza che spesso c’è con il target, un vantaggio concreto che può diventare realtà grazie ai dipendenti in quanto scambio tra persone vere;
capitalizzare la “passione” di chi conosce il marchio dall’interno: l’entusiasmo è virale e i messaggi che raccontano la “passione” delle persone che compongono un’azienda sedimentano un percepito positivo;
utilizzare la competenza del personale interno: chi meglio dei dipendenti con un know how verticale sul brand può parlare con competenza? Spesso nelle aziende si annidano veri “esperti” senza che sia noto, che possono contribuire a portare idee valide per il business e per la comunicazione;
le singole persone sono più credibili e spontanee del brand: i dipendenti sono e saranno sempre più credibili di un’azienda, perché non riconducibili nell’immediato a interessi economici.
La capacità di essere Influencer prescinde dal ruolo ricoperto in azienda. A suo avviso, quali caratteristiche devono avere le persone da coinvolgere nelle iniziative di Employee Advocacy?
Sovente i dirigenti sono coloro che dettano il passo. A loro spetta il compito di comunicare mission e obiettivi con un processo a cascata a team più piccoli; le figure nei team più inclini all’utilizzo dei social per trasmettere messaggi di brand sono le figure che possono diventare “catalizzanti” e opinion leader in questo senso.
I dipendenti con caratteristiche di proattività, inclini al networking, alla comunicazione e che “vivono” il brand anche fuori dell’ufficio sono le figure che possono coinvolgere e trascinare con energia ed entusiasmo i colleghi del loro team su un processo di Employee Advocacy ampio.
I brand investono ormai da anni sulla customer experience. Oggi più che mai questa esperienza passa attraverso la relazione con i dipendenti, a maggior ragione nel caso in cui le aziende abbiano dei punti vendita. In questo caso il personale dei negozi diventa fondamentale per garantire una customer experience memorabile, che stimoli i clienti a mettere in moto il passaparola positivo e a tornare. Cosa fate voi per aiutare le persone che lavorano nei vostri negozi a diventare dei perfetti Ambassador?
Si parla molto di customer experience, il retail è la prima destinazione dove si comprende se le pratiche messe in atto da un brand per soddisfare le attese dei sui clienti sono efficaci e il personale ha un ruolo chiave: i clienti, prima di uno store spettacolare o di real experience, tecnologica o no da sperimentare, entrano in contatto con persone, in grado non solo di raccontare la storia del brand e spiegare in modo tecnico il prodotto, ma soprattutto di creare relazioni personali di valore, ricordandosi di loro con attenzioni spontanee e dedicate.
In questo senso, facciamo coaching ai nostri Ambassador, dotandoli di tool che consentano loro di seguire la “storia” e il viaggio del cliente con il brand, per stabilire un contatto sempre di qualità ed autentico; d’altra parte l’autenticità e la qualità sono valori di Woolrich e le persone li vivono nel loro quotidiano con i clienti.
Brand Ambassador non solo nel punto vendita, ma anche online: i social network possono rappresentare secondo Lei un canale a supporto alle normali attività di employee advocacy offline?
In un marketing che punta sempre di più agli influencer come strumento di comunicazione, le persone, gli user del marchio, anche se con audience minima, possono diventare degli influencer spontanei molto credibili. La stesso cosa vale per i dipendenti: vivere il brand, promuoverne i valori credibilmente, postare e dialogare con gli utenti, rafforza la reputazione di un’azienda che costruisce i valori attraverso le sue persone.