Il cliente ha sempre ragione.
Pochi giorni fa una persona di mia conoscenza mi scrive per dirmi che un corso da lui organizzato non ha ottenuto il riscontro sperato in termini di numero di partecipanti. Davvero non si capacita di come il target non abbia apprezzato il contenuto proposto e la grande fama, esperienza e preparazione del docente. Questo nonostante l’endorsement di personaggi dotati di grande visibilità, riconoscibilità e (presumo) credibilità nel settore.
La sua spiegazione per questo parziale insuccesso: “La gente non è più interessata alla formazione, oppure spende i soldi in corsi che non danno davvero valore aggiunto”. La “colpa” in altre parole era del target, perché stava rifiutando un prodotto così allettante. Può essere. Tutto può essere. Quante volte diamo la colpa di un fallimento al nostro consumatore? E se invece provassimo a vedere le cose da un altro punto di vista? Dopotutto “consumer is the king”, cioè è il consumatore, e solo lui, a decidere il successo o l’insuccesso di un prodotto.
Consideriamo il corso in questione come un prodotto (ciò che è a tutti gli effetti) e vediamo il piano di marketing che ci sta dietro. Tocca a noi, azienda, individuare il bisogno (magari addirittura latente o inespresso) a cui rispondere, offrendo un prodotto (o un servizio) irresistibile. Questo significa capire chi è esattamente il nostro target (e su questo argomento ho già scritto un post tempo fa), come si comporta, cosa fa nel corso della sua giornata, cosa desidera, in che modo il nostro prodotto potrebbe entrare nella sua vita, i vantaggi che potrebbe garantirgli e così via. Credo sia il punto più difficile, ma anche fondamentale, da cui partire. E da lì a seguire tutto il resto, non dimenticando che non basta avere un prodotto valido, se non è distribuito dove ci si aspetterebbe di trovarlo, o se il prezzo non è in linea con ciò che il consumatore è disposto a pagare.
Allo stesso modo una campagna di comunicazione serve a poco, se non parla innanzitutto al target primario che ci interessa colpire. In altre parole: posso anche avere un’uscita a pagina intera sul Corriere della Sera, ma se il mio potenziale consumatore si informa solo attraverso il web, capite che sono soldi buttati. E smettiamola di credere che i testimonial, o meglio ancora gli endorser, funzionino in ogni occasione. Quanto più il testimonial o l’endorser sono inflazionati, tanto meno sono credibili Ne è passata di acqua sotto i ponti dalle prime televendite… Fidatevi, anche se Mike Bongiorno fosse ancora vivo, le vendite del prosciutto Rovagnati non riuscirebbero più a raggiungere i record di un tempo…
Se il prodotto non ottiene il successo sperato è perché manca qualche pezzo del puzzle, oppure non è al posto giusto. In altre parole, se il consumatore non ha apprezzato il potenziale del nostro prodotto non è colpa sua, bensì colpa nostra, perché non siamo stati in grado di spiegarglielo.
Un po’ di sana autocritica non dovrebbe mai mancare. E invece spesso latita, proprio lì dove ce ne sarebbe più bisogno...